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Usura: da quando decorre la prescrizione?

«Il reato di usura non è delitto istantaneo ad effetti permanenti, bensì a consumazione prolungata, la quale perdura fino a che non cessi la dazione degli interessi usurari convenuti; tale dazione segna il momento consumativo sostanziale del reato anche ai fini della prescrizione: il termine di prescrizione deve considerarsi decorrente dalla data dell’ultima dazione e non della pattuizione usuraria» (Cass. Pe. Sez. II, 5 novembre 2008, n. 45361).

L’art. 644-ter c.p. àdispone che «la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale».

In definitiva: il tempo della prescrizione e’ stabilito in 10 anni e decorre dall’ultimo pagamento usurario.

STRUMENTI DI DIFESA

L’eccezione di usurarietà nell’opposizione a decreto ingiuntivo e nei procedimenti per opposizione all’esecuzione:

È noto che al fine di ottenere il soddisfacimento del credito vantato, qualora non siano già provviste di un titolo esecutivo, le banche sono solite ricorrere al procedimento di ingiunzione ex art. 633 c.p.c.

Tra i principali motivi di opposizione al decreto ingiuntivo notificato dalla banca, vi sono:

Tali eccezioni, oltre a determinare, qualora ne sia accertata la fondatezza, la ricostruzione dell’esatta posizione contabile e quantomeno la riduzione del credito vantato dalla banca, hanno anche consentito di provare, già alla prima udienza del giudizio di opposizione, la mancanza di una prova certa del credito ingiunto e, laddove il decreto ingiuntivo sia stato concesso già munito della clausola di provvisoria esecutorietà, la sussistenza di gravi motivi per chiedere ed ottenere la sospensione, oppure, qualora il titolo non sia stato emesso provvisoriamente esecutivo, la mancanza dei presupposti per concedere la provvisoria esecutorietà richiesta dalla banca.

Usura: da quando decorre la prescrizione? Cosa prevede la legge

In sede penale

In sede civile

L’Istanza di sospensione di azioni esecutive è accolta dal Giudice se motivata dalla presenza di Usura ab origine nel rapporto bancario in questione. Se, invece, è rilevata la presenza di Usura sopravvenuta nel rapporto, il Giudice è solito rigettare l’istanza per mancanza del fumus boni iuris.

ACCERTAMENTO E CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA – ARTT. 696 E 696-BIS C.P.C.

«Accertamento tecnico ed ispezione giudiziale» art. 696 c.p.c  «Chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose può chiedere, a norma degli articoli 692 e seguenti, che sia disposto un accertamento tecnico o un’ispezione giudiziale.

L’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale, se ne ricorre l’urgenza, possono essere disposti anche sulla persona dell’istante e, se questa vi consente, sulla persona nei cui confronti l’istanza e’ proposta. L’accertamento tecnico di cui al primo comma può comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi al­l’oggetto della verifica.

Il presidente del tribunale [, il pretore] o il giudice di pace provvede nelle forme stabilite negli articoli 694 e 695, in quanto applicabili, nomina il consulente tecnico e fissa la data dell’inizio delle operazioni.”

La norma in esame risponde all’esigenza di raccogliere la prova prima dell’ instaurazione del processo di merito ed in vista di questo.

Presupposti per l’accertamento, posti dalla norma, sono: il c.d. periculum in morae il c.d. fumus boni juris”.

Per quanto attiene alla natura dell’accertamento tecnico  una recente sentenza della Suprema Corte ha osservato che:

“ se è pur vero che l’accertamento tecnico preventivo non è un mezzo di prova, essendo finalizzato principalmente a far verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose, che, suscettibili di mutamenti o alterazioni nel tempo, vanno accertati e documentati per essere portati poi alla cognizione del giudice prima che ciò possa accadere, per consentirgli di decidere sulla base delle prospettazioni e deduzioni fatte con riferimento a quelle condizioni ed a quello stato, è altrettanto vero che dagli accertamenti e rilievi compiuti in fase preventiva il giudice può trarre utili elementi che, apprezzati e valutati unitamente e nel contesto delle altre risultanze processuali, possono concorrere a fondare il suo convincimento in ordine alla fondatezza dell’uno o dell’altro assunto.” (Sent. Cass.Civ., II Sez., n.2800 del 06.02.08).

«Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite» (Art. 696-bis) – «L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti. Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione. Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Il processo verbale e’ esente dall’imposta di registro. Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili.”

Nell’ art.696 bis c.p.c scompaiono i presupposti di “periculum in mora” e “fumus boni juris” fondamentali nell’art 696 c.p.c.

Quest’ultimo rappresenta un notevole strumento di difesa ex art.24 Cost., ed è stato concepito come mezzo di risoluzione delle controversie e non già come strumento (cautelare) di costituzione preventiva di un mezzo di prova.

OPPOSIZIONE ALLA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE

Nei casi in cui si reputi che la notizia di reato sia infondata (art. 408 c.p.p.), oppure che manchi una condizione di procedibilità oppure il reato sia estinto o che il fatto non sia previsto dalla legge come reato (art. 411 c.p.p.), il Pubblico Ministero presenta al giudice richiesta di archiviazione trasmettendogli il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti eventualmente compiuti davanti al giudice delle indagini preliminari.

L’atto di opposizione deve contenere, a pena di inammissibilità, «l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova» (art. 410 c.p.p.) essendo necessaria, pertanto, l’indicazione delle indagini ulteriori che si richiedono.

Se l’opposizione è inammissibile e la notizia di reato è infondata, il giudice dispone con decreto l’archiviazione del procedimento restituendo gli atti al Pubblico Ministero.

A tale proposito si consideri che la Corte di Cassazione ha, più volte, ribadito che nel caso in cui sia proposta opposizione, il G.I.P. può procedere all’archiviazione de plano esclusivamente in presenza di due condizioni, delle quali deve dare atto con adeguata motivazione:

È stato riconosciuto che è illegittimo e ricorribile per cassazione, quindi, il provvedimento con il quale sia disposta de plano l’archiviazione e che risulti privo di sufficiente motivazione in merito, alle ulteriori richieste di integrazione probatoria avanzate dalla persona offesa.

 

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che «ai fini dell’ammissibilità dell’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, il giudice deve valutare la pertinenza e la rilevanza degli elementi di prova su sui l’opposizione si fonda, e quindi, l’idoneità delle prove richieste ad incidere sulle risultanze delle indagini preliminari, senza tuttavia, effettuare alcun giudizio prognostico sull’esito della investigazione suppletiva richiesta» [Cass. Sez. V, n. 566 del 21 novembre 2013].

Il giudice deve quindi limitare il giudizio di ammissibilità ai soli profili di pertinenza e di specificità degli atti di indagine richiesti, senza valutarne la capacità probatoria, non potendo anticipare, attraverso il decreto, valutazioni di merito in ordine alla fondatezza o all’esito delle indagini suppletive indicate, dal momento che l’opposizione è rivolta esclusivamente a sostituire il provvedimento de plano con il rito camerale [Cass., sez. II, n. 8129 del 3 febbraio 2012].

In presenza di un’opposizione ritenuta ammissibile, quindi, il giudice fissa la data dell’udienza in camera di consiglio facendone dare avviso al Pubblico Ministero, alla persona sottoposta alle indagini, alla persona offesa dal reato e al procuratore generale presso la Corte d’Appello.

«Il procedimento si svolge nelle forme previste dall’art. 127. Fino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà del difensore di estrarne copia» (art. 409 c.p.p.)

Per quanto riguarda i procedimenti penali instaurati in seguito a denunce per usura bancaria, non sono mancate ipotesi di richieste o provvedimenti di archiviazione fondati sulla ritenuta prescrizione del reato. In tal caso, è evidente che la persona offesa, nel valutare la sussistenza di motivi per opporsi alla richiesta del P.M., deve considerare ed evidenziare nell’eventuale atto di opposizione la correttezza della data di decorrenza dei termini. Si ricordi, infatti, quanto sancito dall’art. 644 ter c.p. che prevede che, in caso di usura, la prescrizione inizi a decorrere dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale nonché quanto riconosciuto anche dalla giurisprudenza secondo cui se il credito usurario viene realizzato, in tutto o in parte, attraverso una procedura esecutiva, il momento finale della condotta criminosa non può essere rappresentato nemmeno dall’atto di precetto, dovendosi, piuttosto, aver riguardo ai successivi atti.

 

LE AZIONI DI RIPETIZIONE E DI RISARCIMENTO DANNI

 

L’utente bancario che, ritenuta, all’esito di una valutazione conforme alla corretta metodologia, l’usurarietà del rapporto, intenda (o sia costretto a) domandare l’accertamento giudiziale della nullità della clausola determinativa degli interessi e, di conseguenza, la restituzione di quanto corrisposto in eccedenza rispetto al capitale o, comunque, a quanto legittimamente dovuto oppure, intenda domandare l’accertamento della legittima posizione contabile può instaurare nei confronti della banca un’azione per ripetizione ex art. 2033 c.c. o per accertamento negativo del credito: ciò, ovviamente, sempre che l’utente non si trovi costretto a formulare tali richieste in via di eccezione opponendosi, ad esempio, a decreto ingiuntivo o ad una procedura per espropriazione forzata. Sebbene l’azione, solitamente, sia proposta con atto di citazione, in alcuni casi è stata ritenuta ammissibile anche l’azione proposta con rito sommario ex art. 720 bis c.p.c.

In ogni caso, appare utile ricordare che vertendosi in materia di contratti bancari, condizione di procedibilità è la proposizione di un’istanza di mediazione ad uno degli appositi organismi.

Non può ignorarsi, tuttavia, quanto riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione laddove la nullità del contratto emerga già dagli atti o dalla documentazione prodotta nel giudizio, nei quali casi, è in genere ritenuta la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione.

Accertata l’usurarietà, è indubbio che, oltre alla ripetizione degli interessi eventualmente pagati in eccesso, la persona offesa o, comunque, l’utente bancario abbia diritto anche ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali eventualmente patiti.

Pur essendo necessaria, ovviamente, la prova del nesso di causalità tra i pregiudizi sofferti e l’usura, appare, peraltro, opportuno precisare che ai fini della risarcibilità non è necessario l’accertamento del reato e la condanna dei responsabili. È stato, infatti, riconosciuto anche dai giudici la legittimità che:

«accertata la sussistenza del fatto reato sotto il profilo oggettivo da parte degli istituti di credito, trattandosi comunque di illecito avente rilevanza civilistica, non rileva ai fini risarcitori che non sia stato accertato il responsabile penale della condotta illecita, in quanto l’azione risarcitoria civile ben potrà essere espletata nei confronti degli Istituti interessati che rispondono, comunque, ex art. 1118 e 1228 c.c. del fatto dei propri dipendenti».

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