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Riguardo al danno da “dequalificazione professionale”, la Suprema Corte si è espressa con varie pronunce (n.2549/2011; n.29579/2011; n.5108/2019).

Da ultimo la Cass. Civ,. sez. lav., con ordinanza del 03/02/2021 n. 2472, ha specificato che in tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qualvolta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale.
Ne consegue, quindi, che tale tipologia del pregiudizio appartiene alla fattispecie del danno emergente e non di lucro cessante, ravvisabile nelle ipotesi di perdita derivante dalla mancata percezione di redditi di cui siano maturati tutti i presupposti, per cui non è considerata reddito soggetto a tassazione.


La differenza tra i due tipi di ‘danno’ sopra richiamati non è operata dal codice civile, ma è il frutto di un’elaborazione dottrinale ed è un mezzo utilizzato dagli odierni giuristi al fine di individuare gli effetti pregiudizievoli subiti dal patrimonio del danneggiato.

In conclusione, le somme riconosciute che derivino dal c.d. lucro cessante sono assoggettate al regime fiscale d’appartenenza del reddito sostituito o perduto; nei casi in cui, invece, tali somme vengano erogate a titolo di risarcimento di un c.d. danno emergente, queste sono escluse da ritenute fiscali o contributive.

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